Psicosintesi e Arte della pesca

Notoriamente l’acqua è un simbolo del principio femminile ma è anche un simbolo dell’inconscio. La pesca può essere allora paragonata all’arte per instaurare un dialogo con l’inconscio e farlo fruttare portando alla coscienza ciò che in essa vive a diverse profondità.
Già qui, questa analogia – quel metodo di indagine che Assagioli consiglia di riscoprire – mi suggerisce che non basta adescare un pesce, bisogna far si che la cattura sia portata a secco e con un buon retino assicurata al nostro canestro. Mi urge dirlo perché proprio in questi ultimi giorni ho perso nel recupero prede di una certa consistenza, che sinora non mi erano mai capitate, anche se di diverso valore: due barbi, di cui uno certamente superiore al chilogrammo, ed una trota di poco inferiore. Quest’ultima è stata una perdita ben grave successiva alla perdita dei barbi che mi aveva fatto capire l’importanza di portarmi dietro il fastidioso retino. Quel giorno il retino ce l’avevo ma, ironia della sorte, spostandomi verso la postazione fortunata che avevo intuito buona con il così detto ‘senso dell’acqua’ che contraddistingue un buon pescatore, lo avevo dimenticato nella precedente. Seduto su un masso ai bordi del torrente Avisio mi rincresceva tornare indietro a recuperarlo ed ho pensato di farlo al ritorno. La pigrizia, ho meditato dopo, è una cattiva consigliera perché quando meno me lo aspettavo dei forti strattoni alla canna mi hanno trasmesso ai nervi del braccio , al cervello e a tutto me stesso la vitalità dell’animale catturato che lottava disperatamente per la sopravvivenza. Con una presenza totale, senza irrigidirmi o agire d’impulso, come avveniva nei primi anni, ho attirato la preda verso di me lentamente, lasciandola fluttuare nell’acqua e assecondando i sui bruschi movimenti per evitare lo strappo del filo. Era a un paio di metri da me e a quel punto sarebbe servito il retino per assicurarmi senza rischi la cattura. Ma così non è stato perché non avendolo ho dovuto far scivolare la preda sulla riva e con slancio crescente ho provato a portarla a secco. L’operazione è invece riuscita solo in parte: era una stupenda trota più grande di quanto mi era sembrato di scorgere in acqua. Il peso ha inarcato la canna più del previsto e la trota è finita tra la vegetazione appena dietro di me, è scivolata giù dove c’era ancora dell’acqua e mi è sgusciata tra i gambali per riprendere il largo. Ovviamente il retino lasciato a qualche decine di metri avrebbe consentito un esito completamente diverso e molto desiderato.
Che cosa è questo retino nella analogia pesca–dialogo con l’inconscio?
E’ la consapevolezza acquisita per mezzo dell’attenzione al proprio mondo interiore che, con il lavoro psicosintetico, si scopre essere in gran parte inconscio. Quella attenzione che non solo ci fa scoprire ben presto che non siamo ‘tutti d’un pezzo’ come scrive Assagioli in Psicosintesi – Armonia della vita, ma è anche lo strumento principe per conoscersi (a cui seguirà ricorsivamente ‘possiedi’ e ‘trasforma’).
L’attenzione al proprio mondo interiore di per se stessa opera un primo cambiamento come scrive De Paolis in L’Io e le sue maschere. All’inizio questo benedetto retino non mi sembrava affatto essenziale e poi mi dicevo: “Se scappano via un po’ mi dispiace e un po’ sono contento perché uccidere mi fa un po’ senso”. Ma era l’alibi di chi ancora non prende veramente sul serio né la pesca né il lavoro su se stesso, non ne comprende la portata e purtroppo anche la durata che è ben lungi dall’essere breve come sogna chi crede nei miracoli, che, anche nel caso in cui si verificassero, per la cosiddetta fortuna dei principianti, non sarebbero poi in grado di trattenerli. Inevitabili aporie di chi inizia e talvolta rimane a lungo lì nell’illusione iniziale che il miracolo si ripeta.
Certo che fa senso uccidere un pesce e anche, e forse di più, infilare un lombrico su per l’amo (corrispondente all’impalatura dell’uomo di cui scrive Gustav Mayrink in La notte di Valpurga). Non lo diresti ma alla loro vita questi animali sono attaccati in un modo che non può lasciarti indifferente: un lombrico si fa a pezzi piuttosto che farsi impalare (sembra che da un pezzo si possa riformare il verme intero).
La stessa tenacia che sembrano avere i contenuti psichici che ben lungi dal farsi padroneggiare perché ti sembra di averne capito il funzionamento, ritornano imperterriti a spadroneggiare più forti di prima e a costringerti ad agire come un automa. Quella comprensione tutta mentale ha bisogno di una più o meno lunga gestazione per penetrare in profondità e coinvolgere le altre funzioni psicologiche.
Il retino serve per assicurarsi la preda già catturata ma la preda proprio in virtù di questa sua vocazione alla vita non si lascia certo catturare tanto facilmente. Premessa una certa passione iniziale senza la quale non si va da nessuna parte, per divenire un pescatore occorre prima di tutto procurarsi le opportune conoscenze generali sull’arte della pesca, poi munirsi degli strumenti necessari ed infine impadronirsi del loro uso possibilmente da chi ne è già in possesso. D’estate provo a improvvisarmi pescatore di mare ma ancora non ho trovato un maestro come per il torrente dove l’amico psicosintetista Renzo di Mezzocorona qualche anno fa mi ha mazzolato a dovere per farmi acquisire i rudimenti della pesca al torrente e mi ha aiutato a procurarmi l’attrezzatura necessaria regalandomi anche canna e gambali che lui aveva dismesso. Senza maestro pochi o nulli saranno i risultati come succede a me d’estate dove nonostante i soldi spesi e il tempo perso continuo ad accumulare frustrazioni.
In Psicosintesi l’Ovoide, la Stella delle funzioni e altre conoscenze essenziali come L’atto di volontà, le Leggi della psicodinamica e i Tipi psicologici, corrispondo alle conoscenze generali dell’arte di conoscere se stessi. Sono le mappe che indicano come è fatto il territorio ivi inclusa la presenza idrica (l’inconscio) e la sua tipologia. Ci sono i torrenti per gli schizoidi come me, i fiumi più tranquilli e languidi per i depressi e i laghi, dove il ricambio idrico e controllato, per gli ossessivi. Per le sub isteriche ci sono paludi ed acquitrini tra canneti e pericoli di ogni genere dove si nasconde il luccio che ha il muso di coccodrillo e non si può trattenere se non ha più di 60 centimetri per l’ADPT (ma è molto ricercato, prezioso e prelibato). L’inverno scorso ho provato ad insidiarlo con il prescritto cavetto d’acciaio nella Fossa di Caldaro ma non c’è stato niente da fare. Poi ho conosciuto qualche pescatore esperto che ci provava ‘col vivo’ ed ho capito che non era alla mia portata. Ho smesso così di farmi congelare mani e piedi ai bordi del canale in cui, per via del fango e della neve, ho rischiato di scivolare dentro più di una volta.
Sono così ritornato al torrente che mi è più consono ed affine anche se, anche qui, non mancano i pericoli. Il torrente è un posto dove devi muoverti molto e in modo molto cauto e intuitivo perché il pesce sente molto la presenza del pescatore e allora addio cattura. La stessa cosa avviene quando lo schizoide ‘volenteroso’ crede di poter imporre il suo ritmo mentale al dialogo con l’inconscio. Questo è comunque un criterio generale: provarci cercando di intuire il momento e la tecnica più opportuni ma poi lasciar decantare… e spesso la risposta arriva quando e come meno te l’aspetti.
Ottenuta la mappa per orientarsi in generale occorre munirsi degli strumenti adeguati allo scopo e questi in Psicosintesi sono rappresentati dalle Tecniche che sono le più svariate ed in continuo arricchimento; per citarne alcune tra le classiche abbiamo le Parole evocatrici, il Come se, la Richiesta al Sé e per finire una delle più complesse, ma graduabile a seconda delle esigenze, la Tecnica del Modello ideale. All’inizio si prova un po’ di tutto e ci sono in giro istruttori e ancor più istruttrici ben collaudati ed esperti prevalentemente sfornati a getto continuo dall’Istituto di Psicosintesi e dall’Istituto Internazionale di Psicosintesi Educativa. Il passo successivo è, nel rispetto della tipologia e delle problematiche/potenzialità personali, elaborare un proprio piano di lavoro flessibile e più o meno strutturato.
Anche nella pesca ci sono molte tecniche: a spinning o cucchiaino o rotanti ma anche con artificiali che imitano piccoli pesci; a mosca con diverse varianti; con la corona; col galleggiante. Le ho provate tutte ma data anche l’età e la tipologia personale sto tornando alle origini con le corone che mi aveva insegnato a fare Renzo e quando è il caso con il galleggiante. Ritornerò anche a una 3 metri e mezzo, massimo 4 come quella che il mio ‘maestro’ mi aveva regalato; tecniche e canna certamente le più adatte per il torrente. Innamorarmi di una tecnica sol perché ho visto qualcuno catturare una bella preda, come ho fatto sinora, non è certo il modo migliore di procedere ed è peraltro tipico dello schizoide che col pensiero si proietta istantaneamente lontano ma poi nella realizzazione si rende conto del suo maldestro avventurismo in termini di dispendio di energie e di risultati attesi.
Come si sarà capito mi sto organizzando per aderire meglio ad un percorso ben determinato. Individuate la subpersonalità principale e la costellazione di quelle secondarie sto approfondendo la conoscenza e l’uso di alcune tecniche, in particolare del Modello ideale, per conoscerle a fondo e portarle in superficie. L’emersione è sempre un momento di crisi, di cambiamento e c’è da aspettarsi ostinate resistenze che la retina, che da iniziale attenzione diventa sempre più consapevolezza accumulata, spero sia ora in grado di trattenere e integrare.
(continua)
Lavis, 25/08/2018
Fernando Potì