Animo molteplice

businessman looking at mask and selecting his mood

ROBERTO ASSAGIOLI: PSICOSINTESI Armonia della vita
“Una delle maggiori cecità, delle illusioni più nocive e pericolose che ci impediscono di essere quali potremmo essere, di raggiungere l’alta meta a cui siamo destinati, è di credere di essere per così dire ‘tutti d’un pezzo’, di possedere cioè una personalità ben definita.”(p.15)
Uno Nessuno e Centomila
Angosciante questo lungo racconto di Luigi Pirandello. Capace di smontare una per una le nostre illusioni identitarie fino a giungere alla constatazione della totale impermanenza che governa la nostra esistenza: “che l’essere agisce necessariamente per forme, che sono le apparenze ch’esso si crea, e a cui noi diamo valore di realtà. Un valore che cangia, naturalmente, secondo l’essere in quella forma e in quell’atto ci appare”.
Una radicalità che spaventa ma che impietosamente ci apre gli occhi su ciò che non vogliamo vedere al punto che ogni ricerca della verità – che è ricerca dell’essere – si ferma ai confini di una realtà oltre la quale il delirio identitario ci consiglia di retrocedere se non abbiamo il coraggio dell’eroe (coraggio da cor ed eroe da eros). Difficile resistere a questo richiamo identitario che si appalesa come il canto delle sirene ma che in fondo è il guardiano della soglia di antica memoria che ci consiglia di venire a più miti consigli, in altre parole, di rinunciare.
Un racconto che uno psicosintetista non può esimersi dal leggere. Non perché lo consiglia il suo massimo esponente Roberto Assagioli, ma perché è un redde rationem, un esame di coscienza implacabile del nostro animo molteplice. Il testo è peraltro reperibile gratuitamente su internet (non ci sono scuse…)
Di seguito alcuni passi stimolanti

Citazioni
“Conosco Tizio. Secondo la conoscenza che ne ho, gli do una
realtà: per me. Ma Tizio lo conoscete anche voi, e certo quello che conoscete voi non è quello stesso che conosco io perché ciascuno di noi lo conosce a suo modo e gli dà a suo modo una realtà. Ora anche per se stesso Tizio ha tante realtà per quanti di noi conosce, peto particolarché in un modo si conosce con me e in un altro con voi e con un terzo, con un quarto e via dicendo. Il che vuol dire che Tizio è realmente uno con me, uno con voi, un altro con un terzo, un altro con un quarto e via dicendo, pur
avendo l’illusione anche lui, anzi lui specialmente, d’esser uno per tutti. Il guajo è questo; o lo scherzo, se vi piace meglio chiamarlo così. Compiamo un atto. Crediamo in buona fede d’esser tutti in quell’atto. Ci accorgiamo purtroppo che non è così, e che l’atto è invece sempre e solamente dell’uno dei tanti che siamo o che possiamo essere, quando, per un caso sciaguratissimo, all’improvviso vi restiamo come agganciati e sospesi: ci accorgiamo, voglio dire, di non essere tutti in quell’atto, e che dunque un’atroce ingiustizia sarebbe giudicarci da quello solo, tenerci agganciati e sospesi a esso, alla gogna, per un’intera esistenza, come se questa fosse tutta assommata in quell’atto solo.
– Ma io sono anche questo, e quest’altro, e poi quest’altro! – ci mettiamo a gridare.
Tanti, eh già; tanti ch’erano fuori dell’atto di quell’uno, e che non avevano nulla o ben poco da vedere con esso. Non solo; ma quell’uno stesso, cioè quella realtà che in un momento ci siamo data e che in quel momento ha compiuto l’atto, spesso poco dopo è sparito del tutto; tanto vero che il ricordo dell’atto resta in noi, se pure resta, come un sogno angoscioso, inesplicabile. Un altro,
dieci altri, tutti quegli altri che noi siamo o possiamo essere, sorgono a uno a uno in noi a domandarci come abbiamo potuto far questo; e non ce lo sappiamo più spiegare.
Realtà passate.
Se i fatti non son tanto gravi, queste realtà passate le chiamiamo inganni. Sì, va bene; perché veramente ogni realtà è un inganno. Proprio quell’inganno per cui ora dico a voi che n’avete un altro davanti.
– Voi sbagliate!
Siamo molto superficiali, io e voi. Non andiamo ben addentro allo scherzo, che è più profondo e radicale, cari miei. E consiste in questo: che l’essere agisce necessariamente per forme, che sono le apparenze ch’esso si crea, e a cui noi diamo valore di realtà. Un valore che cangia, naturalmente, secondo l’essere in quella forma e in quell’atto ci appare.”(p.77)
[…]
“Tuttavia mi sforzerò di darvi, non dubitate, quella realtà che voi credete d’avere; cioè a dire, di volervi in me come voi vi volete. Non è possibile, ormai lo sappiamo bene, giacché, per quanti sforzi io faccia di rappresentarvi a modo vostro, sarà sempre «un modo vostro» soltanto per me, non «un modo vostro» per voi e per gli altri.
Ma scusate: se per voi io non ho altra realtà fuori di quella che voi mi date, e sono pronto a riconoscere e ad ammettere ch’essa non è meno vera di quella che potrei darmi io; che essa anzi per voi è la sola vera (e Dio sa che cos’è codesta realtà che voi mi date!); vorreste lamentarvi adesso di quella che vi darò io, con tutta la buona volontà di rappresentarvi quanto piú mi sarà possibile a modo vostro?
Non presumo che siate come vi rappresento io. Ho affermato già che non siete neppure quell’uno che vi rappresentate a voi stesso, ma tanti a un tempo, secondo tutte le vostre possibilità d’essere, e i casi, le relazioni e le circostanze. E dunque, che torto vi fo io? Me lo fate voi il torto, credendo ch’io non abbia o non possa avere altra realtà fuori di codesta che mi date voi; la quale è vostra soltanto, credete: una vostra idea, quella che vi siete fatta di me, una possibilità d’essere come voi la
sentite, come a voi pare, come la riconoscete in voi possibile; giacché di ciò che possa essere io per me, non solo non potete saper nulla voi, ma nulla neppure io stesso.”(p.83)
[…]
E sono contento che or ora, mentre stavate a leggere questo mio libretto col sorriso un po’ canzonatorio che fin da principio ha accompagnato la vostra lettura, due visite, una dentro l’altra, siano venute improvvisamente a dimostrarvi quant’era sciocco quel vostro sorriso.
Siete ancora sconcertato – vi vedo – irritato, mortificato della pessima figura che avete fatto col vostro vecchio amico, mandato via poco dopo sopravvenuto il nuovo, con una scusa meschina, perché non resistevate piú a vedervelo davanti, a sentirlo parlare e ridere in presenza di quell’altro. Ma come? mandarlo via cosí, se poco prima che quest’altro arrivasse, vi compiacevate tanto a parlare e ridere con lui? Mandato via. Chi? Il vostro amico? Credete sul serio d’aver mandato via lui?
Rifletteteci un poco.
Il vostro vecchio amico, in sé e per sé, non aveva nessuna ragione d’esser mandato via, sopravvenendo il nuovo. I due, tra loro, non si conoscevano affatto, li avete presentati voi l’uno all’altro; e potevano insieme trattenersi una mezz’oretta nel vostro salotto a chiacchierare del piú e del meno. Nessun imbarazzo né per l’uno né per l’altro.
L’imbarazzo l’avete provato voi, e tanto piú vivo e intollerabile, quanto piú, anzi, vedevate quei due a poco a poco acconciarsi tra loro a fare accordo insieme. L’avete subito rotto quell’accordo. Perché? Ma perché voi (non volete ancora capirlo?) voi, all’improvviso, cioè all’arrivo del vostro nuovo amico, vi siete scoperto due, uno cosí dall’altro diverso, che per forza a un certo punto,
non resistendo piú, avete dovuto mandarne via uno. Non il vostro vecchio amico, no, avete mandato via voi stesso, quell’uno che siete per il vostro vecchio amico, perché lo avete sentito tutt’altro da quello che siete, o volete essere, per il nuovo.
Incompatibili non erano tra loro quei due, estranei l’uno all’altro, garbatissimi entrambi e fatti fors’anche per intendersi a maraviglia; ma i due voi che all’improvviso avete scoperto in voi stesso. Non avete potuto tollerare che le cose dell’uno fossero mescolate con quelle dell’altro, non avendo esse propriamente nulla di comune tra loro. Nulla, nulla, giacché voi per il vostro vecchio amico avete una realtà e un’altra per il nuovo, cosí diverse in tutto da avvertire voi stesso che rivolgendovi
all’uno, l’altro sarebbe rimasto a guardarvi sbalordito; non vi avrebbe piú riconosciuto; avrebbe esclamato tra sé: « Ma come? è questo? è cosí? »
E nell’imbarazzo insostenibile di trovarvi, cosí, due, contemporaneamente, avete cercato una scusa meschina per liberarvi, non d’uno di loro, ma d’uno dei due che quei due vi costringevano a essere a un tempo.
Su su, tornate a leggere questo mio libretto, senza piú sorridere come avete fatto finora.
Credete pure che, se qualche dispiacere ha potuto recarvi l’esperienza or ora fatta, quest’è niente, mio caro, perché voi non siete due soltanto, ma chi sa quanti, senza saperlo, e credendovi sempre uno.
Andiamo avanti.” (p.84)