Bambino o Ribelle?

Nella scena del guerriero/androgino dietro la finestra non c’è il bambino, la faccia barbuta/capellona richiama piuttosto il ribelle adolescente da fuga da casa, contestazione, vita randagia, morte della famiglia e quant’altro. Il bambino è succube, depresso, non sperimenta, è incupito, legato alle sottane della mamma, aiuta nelle pulizie, no in mezzo alla strada (di campagna). Il ribelle ribolle di rabbia. Tira fuori il contrasto con furia e determinazione, capovolge la depressione in aggressione di pensiero ma anche di fatto (contestazione e vita instabile e spericolata).

Quel contestatore dietro la finestra è come agli arresti domiciliari, è come sequestrato in casa che pure non ha grate per impedirgli l’ennesima fuga… Forse ha rinunciato a scappare da una situazione all’altra; si è fermato in quella casa dell’essere in cui il bambino (fernandino corridore solitario) si è rifugiato costretto dalla incomprensione e dalla paura. Una contrapposizione in termini: essere e ribellione! A meno che quel parcheggio volontario non sia la cura di chi avendo proiettato violentemente e insistentemente è ora costretto a ribaltare tutto essendosi scoperto la fonte stessa di quel sentimento sopito ma insistente, malcelato da un buonismo di facciata che la faccia del ribelle mette invece in evidenza.

Lui è ancora lì nel ricordo di quel rientro a casa da adolescente che prende per il bavero suo padre e gli dice: “Tu non sei un uomo!” perché non aveva mantenuto la promessa di comprargli il motorino se fosse stato promosso. È il ribelle dei tradimenti a catena con le amiche di lei, amore anelato fino allo spasmo e poi ignorato appena riconquistato. É il ribelle delle occupazioni in facoltà, in mensa e ovunque c’era da rivendicare qualcosa contro un potere ottuso e una società sedentaria.

Guarda fuori il ribelle! Non inveisce più contro il capitalismo, il familismo, il buonismo… Ora li ritrova dentro fatti di ossessive ripetizioni che affollano la mente e messe in coda si precipitano a sostituirsi l’una con l’altra, accavallandosi e incrociandosi, scontrandosi e ignorandosi: fortuna che nel mondo binario la mente può processare un pensiero alla volta seppur disturbato, alternato e alterato.

Il ribelle osserva questo formicolio di forme pensiero larvali nate dal sospetto, dalla paura, dalla rabbia. Mancando il ‘cuore’ ogni cosa si frammenta, si parcellizza e da quella piccola parte di mondo che noi siamo si cristallizza in entità nemiche indipendentemente dalle loro intenzioni, anzi ogni intenzione unitiva è un sospetto, fa sorgere la domanda: “Ma cosa vuole veramente?” Psicopatologia ossessiva, da tempo che si ferma e non passa mai, che vuole essere riempita da un fare che colmi temporaneamente il vuoto, l’angoscia latente che non si vuole fare emergere alla coscienza. Questo è il ribelle: un alimento conservato sottovuoto che ad aprirlo implode, ingoia l’aria che gli dà un termine (l’aria è la socialità).

Passare da un sistema difensivo ad uno aperto non è cosa da poco, non è casa per rabbiosi. E la prima cosa da fare è ritrovare questa rabbia annidata in pensieri ragionevoli: Non doveva fare così… Ma come si permette? In un mondo incastonato sull’interesse personale, di coppia, di gruppo, etc, l’amore verità, l’amore allo stato puro è una chimera, rarità da pepita d’oro. Ci sono diversi gradi di impurità che bisogna imparare a conoscere ad incominciare dalla propria.

Come schizo, per Scardovelli, cerco l’amore verità ma quanto ad esserlo ne sono distante mille miglia. Abitudini consolidate ruotano attorno a quella auto-referenzialità dello schizoide: auto-nomo auto-sufficiente, auto-cratico, etc. Occorre prendere atto di queste predisposizioni che più e oltre il ribelle sono dello schizo che è in lui. Il ribelle nel chiuso della casa, fuori dalle proiezioni furibonde si scopre schizoide. I vetri della finestra delimitano l’estroversione dall’introversione. In questo lungo processo di ricerca interiore il pescatore/personalità è depresso, schiacciato, deprivato, svuotato. Non si tratta di depressione pura e semplice quanto di un’attesa, di un fare paziente ma anche impotente essendo le energie usate per il lavoro interiore di continua revisione confronto di esteriorità processate in interiorità: l’azione esterna è lo specchio della realtà interna… Perché sei solo? Perché non sei andato alla giornata presentazione a (…) guarda caso perché il tuo amico si è permesso poco educatamente di ‘spiare’ nella tua casa senza chiederlo… fosse solo questo… ma in ogni storia c’è un sospetto e in tutti i sospetti un vizio che non perdona anzi accumula prove di colpevolezza che si nutrono a vicenda per formare un muro invalicabile di prove schiaccianti.

Quanto al detective, è lui, lì, dietro la finestra che si interroga su chi gliela fa fare ad essere il detective del mondo intero. Smontare questo abito alla Sherlock Holmes è il compito del nostro ribelle. Abito da abitare nell’abitudine che diviene realtà che più non si può immaginare a meno che non la si guardi con occhi diversi, disincantati, alla luce di un nuovo atteggiamento, di un nuovo cuore, e in questo, a volerlo, qualche aiuto non manca mai.

L’ultima: Una amica saputo che prendo l’aereo a Verona si offre per accompagnarmi all’aeroporto: “No! Grazie, ho già programmato tutto: bus, treno, bus navetta!” Riflessioni successive: Perché no! Perché sempre autonomo e autosufficiente? Mando un messaggio del tenore di cui sopra. L’amica è ben felice di accompagnarmi. Mi sento sollevato e meno solo. Piccoli adattamenti in un mondo (il mio) che cambia!

Lavis 04/07/23

Fernando Potì