Modello ideale – immagine inventario: “Quello che gli altri vorrebbero che io fossi”

Prosegue il dialogo con l’inconscio sul lavoro con la Tecnica del modello ideale iniziata mesi or sono e documentata su questo blog. Questa nuova emersione rimanda al tempo giovanile della contestazione e riapre scenari su cui un pietoso velo aveva posto l’oblio facendo inabissare molte tensioni ma anche molte potenzialità.
“Più che un’immagine disneyana è una grafica puzz-ettiana. PUZZ è un fumetto che circolava nell’area ultraradicale della contestazione anni ‘70. Il personaggio tipico era un corvaccio e la trama, se così si può dire, dei racconti, o i frammenti di dialogo, erano una feroce critica alla società borghese, seriale e consumistica. Ricordo che un racconto narrava di un pallone che era finito oltre i muri della fabbrica sociale e il bambino che era andato a prenderlo veniva irrimediabilmente colonizzato al suo servizio. Erano i tempi del rifiuto dell’alienazione del lavoro seriale, del rifiuto della società consumistica e borghese, del rifiuto della famiglia e del maschilismo. Questo era PUZZ era uno dei modi con cui si esprimeva questo rifiuto: una critica radicale e dissacrante della società.
Nell’immagine dell’inventario c’è una fusione Topolino – PUZZ. Topolino serve a dare quella dimensione di evasione dove le storie si svolgono senza i drammi della vita quotidiana e all’occorrenza magia, poteri speciali o artifici vari risolvono senza colpo ferire anche i problemi più intricati. PUZZ è invece la critica spietata, sarcastica, satirica, tagliente, travolgente, dissacrante. La loro fusione denota una mancanza: l’umanità. Non c’è umanità in entrambe le rappresentazioni. La fusione dei due generi è visibile in particolare all’entrata del LunaPark dove assieme al topolino è disegnato proprio un corvaccio alla PUZZ di Max Capa come si firmava il suo autore. E che sia stata una rappresentazione inconscia lo testimonia il fatto che ci ho messo un paio di mesi a rendermene conto.
E poi c’è il palloncino che appare nei miei vecchi scarabocchi ancor prima che incontrassi PUZZ e il suo autore, ma solo di sfuggita a Milano, la capitale della cultura di allora. Palloncino spesso legato ad un peso, di quelli che servono nelle vecchie bilance ormai in disuso, insomma abbondantemente zavorrato. E’ un po’ l’immagine dell’evanescenza, dell’incertezza, della provvisorietà, della spensieratezza e, volendo, anche dell’attrazione dall’alto che richiede pesanti contrappesi per essere annullata.
Nel disegno tutto è un “commercio calcolante dell’ente”, come direbbe Heidegger; tutto è quantificabile, monetizzabile Yoga e Massaggi compresi. Nonostante riconosca ora che si tratta di una semplificazione credo che questa immagine esprima una mia concezione della società e della vita quotidiana radicata nell’inconscio. Non sono bastate le esperienze di vetta né le assidue letture e le pratiche esoteriche e nemmeno quelle psicologiche per cambiare questa concezione del mondo. Queste ultime, nel percorso psicosintetico, almeno le stanno facendo emergere.
E’ come se essa fosse radicata in profondità, intessuta nelle esperienze infantili cioè nell’imprinting iniziale e forse anche precedente ad esso.
Due mondi separati sono ora a confronto. Uno sostenuto dal pensiero e da esperienze di apertura sempre più lontane nel tempo ma anche da un graduale percorso di crescita sotto l’egida della psicosintesi, l’altro difensivo, isolazionista, aggressivo, critico, disincantato e astioso di cui Donchisciotte è lo strenuo difensore. Quel Donchisciotte che era già presente nella mia militanza politica nei gruppuscoli extraparlamentari dove i modelli ideologici erano già fuori dal tempo e dalla storia. Ma per fortuna non c’era solo quello…”
Lavis, (TN) 27/08/2018
Fernando Potì