mira con il becco ai cieli

Le caratteristiche di un uccello solitario sono cinque:

la prima, che vola verso il punto più alto;

la seconda, che non sopporta compagni, neppure simili a lui;

la terza, che mira con il becco ai cieli;

la quarta, che non ha un colore definito;

la quinta, che canta molto dolcemente.

(San Juan de la Cruz, Dichos de Luz y Amor, da “L’isola del Tonal” di Carlos Castaneda)

Mi è tornata in mente la terza caratteristica prendendo coscienza della reiterata frequentazione di pensieri di rivalsa contro chiunque in qualche modo mi osteggiasse o, almeno, che io pensavo mi osteggiasse. D’altronde non è difficile infilarsi in contrasti più o meno striscianti quando non ci si conforma agli stereotipi sociali… C’è chi non te lo perdona proprio come se la tua stessa esistenza fosse una sfida alla sua. Non mi riferisco alle apparenze esteriori, quanto a quella ricerca interiore che ti rende attento ai tuoi stessi comportamenti e che pian pianino ti porta su strade poco frequentate fino a divenire una sorta di senza casa interiore, di passero solitario. C’è chi ti inchioda ai tuoi errori e non c’è modo di scrollarsi da dosso giudizi castranti e irrevocabili.

Ovviamente nessuno è immune tal che si può passare da un fronte all’altro con una facilità impressionante. Oggi me ne stacco, ma domani? Domani, in preda ad un eroico sentimento di giustizia, ci sono di nuovo dentro, difensore donchisciottesco di una verità più unica che rara. Ci sono quelle zone d’ombra, veri e pochi buchi neri, che ci inghiottono per tempi immemorabili e ci lasciano solo dopo infinite mazzate e sofferenze.

La terza caratteristica dell’anima contemplativa è spiegata da SG+ nei termini seguenti: “deve protendere il becco al soffio dello Spirito Santo,  corrispondendo alle sue ispirazioni,  perché, così facendo, possa diventare più degna della sua compagnia” che è una sorta di specificazione della prima caratteristica la quale dice “che deve tenersi al di sopra delle cose transitorie, comportandosi come se non esistessero”.

Tratto da: Scritti minori di Giovanni della Croce 120. “Sono cinque le caratteristiche del passero solitario. Prima: si porta in alto il più possibile; seconda: non sopporta la compagnia nemmeno di quelli della sua specie; terza: tende il becco verso il vento; quarta: non ha un colore determinato; quinta: canta soavemente. Queste devono essere anche le caratteristiche dell’anima contemplativa, che deve tenersi al di sopra delle cose transitorie, comportandosi come se non esistessero, e dev’essere tanto amica della solitudine e del silenzio da non sopportare la compagnia di altre creature; deve protendere il becco al soffio dello Spirito Santo, corrispondendo alle sue ispirazioni, perché, così facendo, possa diventare più degna della sua compagnia; non deve avere un colore determinato, cioè non deve fissarsi in alcuna cosa, ma solo in ciò che è volontà di Dio; deve cantare soavemente nella contemplazione e nell’amore del suo Sposo.” (reperibile su www.gianfrancobertagni.it)

In “Verso l’arca d’argento”, Gratianus riporta una immagine (Tav. 27: Astorga, Catedral de Santa Maria, Il fuoco segreto) che in termini alchemici mi sembra esplicativa del precedente paragrafo. L’immagine “raffigura una barca da pesca, un guscio di noce su un mare agitato. Il cielo è grigio e nuvoloso; sta per scatenarsi una tempesta. La barchetta ha un albero su cui è legata la vela di gabbia, chiamata anche “d’artimone”. All’interno del gozzo ci sono due marinai, uno dei quali è al timone con la barra in mano e sta modificando la rotta, mentre l’altro, sul bordo del gozzo, sta maneggiando un remo per dare maggiore velocità al cambio di direzione e orientare la prua verso una stella nera a otto punte posta poco più in alto dell’orizzonte, nell’unico spazio del cielo sgombro da nuvole”.(p.196)

Parole, parole, parole… che però possono acquistare una loro valenza concreta nel proprio percorso di crescita fino al punto da divenire un ostacolo insormontabile se non lo si affronta con metodo e perseveranza. Quando me la prendo con gli altri con le emozioni, i sentimenti o i pensieri perdo consapevolezza e lascio il controllo della situazione alla solita personalità profana che nulla ha di divino anzi mi riconsegna mani e piedi legati alla solita trama. Portarsi in alto, concepire in qualche modo le difficoltà in cui si dibatte l’anima di chi ci sta davanti; ricordare lo stridio delle catene che ancora ci legano ai nostri vincoli terreni zavorranti e ripetersi ogni volta che ognuno è dove deve essere e non è certo affare nostro emettere giudizi di qualsiasi valore… avere piuttosto l’umiltà dell’incertezza quando tutte le nostre certezze non hanno retto alle prove… forse è meglio, appena si hanno le forze e la buona disposizione a guardare in alto per seguire la propria stella.