La rettitudine in Magia e in Psicosintesi

Dopo un decennio di studi e pratica in Psicosintesi ho sentito la necessità di rileggere il testo di Magia che è stato la mia guida per un precedente decennio: “La Scienza dei Magi” di Giuliano Kremmerz. Non è la prima volta, ma mai come in questa occasione ho preso consapevolezza del movente che mi spingeva a farlo: avverto periodicamente nel mio lavoro psicosintetico una sorta di frammentazione, un affievolimento del fine che le letture degli scritti di Assagioli rinfocolano ma che la pratica collettiva e individuale tende a disperdere nel duro e quotidiano lavoro che comunque ritengo necessario. A lungo andare potrei dire che tendo periodicamente a regredire alla Magia scoprendovi però un pregio inestimabile: il pathos, l’idealità, il buttare il cuore dall’altra parte, oltre l’ostacolo; quel mantenere vivo anche in ogni piccola cosa l’aspirazione, il fine, il respiro dell’Uno.
Poi, riflettendoci, mi è sembrato che Magia e Psicosintesi non siano così lontane, anzi… quel rinvio all’ulteriore della Magia non è affatto un volo pindarico destinato a fallire, contiene invece in nuce tutte la dovute precauzioni che la Psicosintesi rende esplicite e frazionate (e questo è certamente un merito esclusivo inestimabile) ed ha il pregio di tenere sempre alta l’idealità, la visione, la finalità verso cui si tende, aspetto che talvolta tende a smarrirsi negli intricati meandri di quel minuto conosci, possiedi e trasforma te stesso della Psicosintesi. Sfumature, toni di grigio, gradazioni variabili in un tessuto tutto sommato più omogeneo di quanto superficialmente appare.
Prendo a caso il secondo volume de “La Scienza dei Magi” e, sempre a caso (che col tempo ho capito essere il modo + sicuro per centrare l’obiettivo), l’ho aperto a pagina 75 dove si legge che il pensiero psichicamente inteso è una forza “Non una forza morale che si converte in materiale quando si fa tradurre dalle parole di un oratore o di uno scrittore, ma una forza e un potere in sé e per sé, che agisce sulle cose vicine, sulle più lontane, sulle lontanissime.” La fonte del bene e del male è dunque nella mente umana per questo è nell’interesse di tutti – continua a scrivere il Kremmerz – “che la nostra mente si educhi al bene e la volontà diventi buona volontà, attivamente buona.”
L’insistenza sulla necessità che la volontà diventi buona (votata al bene) mi ha richiamato alla mente una analoga frase di Roberto Assagioli il padre della Psicosintesi: “E’ necessario per il nostro bene e per il bene di tutti, che la nostra volontà sia buona oltre che forte e sapiente.” (L’atto di volontà, p.20)
Ma nella citazione del Kremmerz c’è implicitamente molto di più e cioè la necessità di attuare quella che in Psicosintesi viene definita psicosintesi personale, la ricerca attiva di un equilibrio personale e di vita sociale, per potersi cimentare produttivamente con la Magia. Il Kremmerz immediatamente dopo pone infatti come precondizione a coloro che vogliono tentare un approccio al mondo dell’occulto (o come si dice oggi ‘al transpersonale’) che “come cittadini, devono essere sempre esempio costante di rettitudine e, come uomini, di solidarietà e di altruismo, inteso nel senso classico di carità e di amore, nella vita privata e pubblica, onde nella serena concezione della vita, possano trovare l’equilibrio che apra nell’animo la parola di quell’Ermete misterioso e divino che porta la luce e il potere di una buona volontà, attiva nel bene, tollerante della inferiorità morale dei meno evoluti e perpetuamente pronti a soccorrerli col pensiero, l’azione, la parola, senza speranza di un premio anche morale, perché i bambini e gli uomini inferiori sono essenzialmente ingrati.”(p.76)
Come si può agevolmente comprendere è qui disegnato tutto un progetto di psicosintesi personale e sopratutto delle sue finalità che, per esperienza personale, ho imparato spesso si dimenticano per strada inseguendo tecniche e sintesi frammentarie o parziali. D’altronde lo stesso Assagioli ci ammonisce a non fare troppo affidamento sulle tecniche e sulle abilità nel gestirle, quasi un eco di quanto senza mezzi termini scriveva il Kremmerz e con lui i Maestri di tutti i tempi: “Sciocchi quelli che vogliono tutto ottenere dai circoli magici, dai caratteri geroglifici, dalle formule evocatorie e dagli scongiuri… nonché dalla sola cibazione dei cavoli e delle barbabietole.”(p.77)
In questo errore si incorre tanto più facilmente per quanto maggiormente chi si pone come esempio (in realtà siamo tutti degli esempi per gli altri) ed educatore (ruolo istituzionale, ma vale anche a livello intrapsichico per chi come me propende per l’autoformazione) tende ad esaltare la figura del maestro come contrappeso del venir meno di quella essenziale rettitudine, solidarietà ed altruismo che dovrebbe informare la sua condotta. Ed è forse questo quel virus nascosto che spesso svilisce l’importanza del graduale, faticoso e lento lavoro quotidiano perché tende ad interrompere la comunicazione sottile tra necessità e idealità.
Fernando Potì