2. Accettazione: l’ostacolo della idealizzazione del sé


I due gruppi di ostacoli ad iniziare un percorso di crescita personale intravisti da La Sala Batà precedentemente descritti, in forma più blanda, possono non impedire l’inizio dell’autoformazione ma essere la causa di una successiva resistenza strisciante all’acquisizione di stati di maggiore consapevolezza oppure causa di crisi più o meno repentine che possono condurre, nella peggiore delle ipotesi, ad una totale interruzione del percorso negandone i presupposti stessi.
Quest’ultimo atteggiamento, tipico dei conservatori e di chi, più in generale, propende per lo status quo, sembra avere connotazioni prevalentemente depressive e ossessive, mentre a schizoidi e isterici (o narcisisti che dir si voglia) compete maggiormente una sorta di resilienza negativa in cui la durezza tipologica dei primi a lasciarsi ‘essere’ è polarizzata, sempre in superficie, dalla apparente elasticità della subpersonalità isterica che mima l’adattabilità e flessibilità di chi ha un centro pur essendone del tutto privo. Anche lo schizoide, a prima vista, sembra avere trovato il suo centro ma è solo attestato sulla torre di controllo del pensiero astratto che egemonizza la personalità a scapito prevalentemente di sentimenti ed emozioni. Un centro fittizio dunque che non tarda ad emergere nella sua vera espressione per l’incapacità evidente di porsi come polo di attrazione.
Queste attitudini traspaiono anche nei confronti della spiritualità la dove è sufficientemente sviluppata. Essa assume un ruolo di supporto e di legittimazione dello status quo per coloro – depressi e ossessivi – che sono chiusi nelle loro false certezze e attaccamenti. Possono essere anche dei zelanti frequentatori di chiese, sinagoghe e moschee o addirittura cimentarsi con nuove espressioni della spiritualità purché nell’alveo della tradizione e purché non mettano in discussione le loro sicurezze esteriori ed interiori.
I secondi, schizoidi e narcisisti, sono orientati verso le nuove forme di spiritualità quando non si creano del tutto un dio a loro immagine e somiglianza. I primi, affetti da schizoidia, idealizzano un sé autoritario e vendicativo (se la tipologia è Volontà sono dei veri guerrafondai chiusi nel loro ‘castello interiore’: vedi “I tipi umani” di Roberto Assagioli, ed. Istituto di Psicosintesi). I secondi, amanti del cambiamento e dell’esteriorità, preferiscono i guru narcisistici, possibilmente viventi, con cui si identificano indissolubilmente condividendone i tratti spirituali ma anche psicopatologici. In entrambi i casi – schizoidi e narcisisti – c’è una tendenza all’autoreferenzialità che rende questi soggetti impermeabili a qualsiasi critica esterna.
Questa idealizzazione del sé pur apparendo con modalità opposte – interiorizzazione fino all’isolamento contro esteriorizzazione fino alla dispersione – è in realtà la stessa cosa: una fuga dalle responsabilità conseguenti ad un bisogno di appartenenza del tutto negato (vedi scala di Maslow). Queste due tendenze sono esplicitate da Fabio Guidi in una intervista intitolata “Dalla Psicosintesi ad un ‘Vangelo psicosintetico’” reperibile nel web. Sollecitato ad esprimersi sulla pratica della meditazione Guidi risponde: “Certamente, è uno strumento fondamentale, a livello psicosintetico per quanto io, all’inizio, a livello di analisi, non la consigli a nessuno. Inizialmente, ripeto e quando non vedo una certa integrazione. Ti faccio un esempio: una persona borderline che ha una fragilità dell’io accentuata ed è ad un passo dalla scissione psicotica, se inizia a praticare, ad esempio, la meditazione buddista — in cui si porta l’individuo ad abbandonare i confini dell’ego per arrivare al Nirvana ― è a grave rischio di andare incontro a momenti di pesante psicosi. Questi si possono manifestare come: depersonalizzazione, alienazione, senso dell’irrealtà, paranoie, smarrimento in un mondo completamente allucinatorio. In casi borderline c’è bisogno di rafforzare l’io più che di “superarlo”. La tendenza schizoide, in una parola, tende ad allontanare dalla realtà, portando l’individuo a rifugiarsi nel proprio mondo. Tu capisci bene che in questa situazione praticare la meditazione non è la cosa più indicata; agevolerà l’allontanamento dalla realtà. Capisci com’è delicata la questione?”
Altrettanto significativa è la risposta rispetto alla tendenza isterico-narcisistica in cui si chiama in causa l’ambiente di Osho dove la meditazione è vista come la medicina di tutti i mali. Di Osho, dopo vari apprezzamenti, Guidi afferma: “ Comunque, tornando alla meditazione, oggi trovo sia forse un po’ semplicistica l’attitudine di molti discepoli di Osho a non preoccuparsi di nulla perché, nel momento in cui si medita, si arriva in un modo o nell’altro dove si deve arrivare. Insomma, io ho visto gente senza un minimo di terra sotto i piedi perché non hanno costruito nulla né sul fronte della realizzazione professionale, né sul fronte affettivo, continuano a meditare ma poi, magari, presentano chiari segni di disagio riconducibili, a mio modo di vedere, alla profonda precarietà esistenziale che stanno vivendo, non riescono a regolarsi con l’alcool, usano droghe in maniera sconsiderata…
Sì, ci sarebbe poi tutto un discorso da fare sulla promiscuità sessuale di quegli ambienti. Li conosco i sannyasin (discepoli di Osho), sono venuti anche qui. Molti vengono dal mondo cattolico…”.
Se il sé idealizzato narcisistico ha bisogno del convento e della missione ed è venduto a caro prezzo ma alla lunga attecchisce solo con chi ha pari squilibri della personalità, il sé idealizzato schizoide è chiuso in un castello interiore alla rovescia perché mancando dell’amore per sé stesso e per il prossimo non fa che isolare sempre di più il soggetto che ne è portatore in un solipsismo autoreferenziale che non fa altro che accentuare i meccanismi di difesa che lo hanno ingenerato.
La caduta della idealizzazione del sé, che nonostante la sua illusorietà teneva acceso il fuoco del desiderio, corrisponde alla caduta degli dei, al “Dio è morto” di Nietzsche.
La caduta degli ideali trascina con se la personalità che su di essi si era modellata e che ora non trova più punti di riferimento. Ora, dal fango della terra si rimira un cielo che tace, anzi sembra acconsentire affinché si tarpino le ali, affinché l’umiltà della terra impartisca la necessaria lezione. Passare dal fervore idealistico alla pedante vita quotidiana genera una perdita di vitalità, quasi un martirio senza fine. Questo riorientamento della propria vita è cosa molto difficile e pochi ci riescono. Il quotidiano risucchia le nostre aspirazioni in una dispersione che rende vacuo ogni anelito ideale. Affievolisce gli slanci, frammenta l’impegno, esige regolarità, scambio, attenzione alla minuteria, alle piccole cose di ogni giorno.
Qui, nelle acque intorpidite dai panni sporchi, si ritrova il bambino che ora deve imparare la difficile lezione della vita: vivere senza affogare nei bisogni; vivere nella precarietà di una esistenza fatta di necessità e virtù; vivere nella sopportazione di chi parassitariamente ci sembra ostacolare il nostro cammino fino a che non intuiamo che “gli ostacoli sono il cammino” (Viglienghi: L’autoformazione in Psicosintesi).
Riorientare la propria vita significa cader giù da quella torre taroccata o scendere giù dal palco e stare in mezzo ai propri simili, alla pari, carne della propria carne, spirito del proprio spirito. L’accettazione presuppone questo livellamento e quindi la fine dell’idealizzazione a favore di un desiderio ardente risvegliato dal Sé.