I segni della notte oscura

La somiglianza tra ‘notte oscura’ e ‘psicosi depressiva’ o melanconia rilevata da Roberto Assagioli in ‘Lo sviluppo transpersonale’ (p.106) essendo espressa in modo sintetico lascia molti dubbi e perplessità. D’altronde lo stesso Assagioli rinvia in nota alla lettura di due testi: ‘La notte oscura’ di San Giovanni della Croce e ‘Mysticism’ di E. Underhill.
In effetti anche SG+, seppur in altri termini, tipici della sua epoca, si è reso conto della possibilità che la notte oscura potesse essere scambiata con altre forme di malessere al punto da indicare tre segni la cui concomitante presenza attestano che di ‘notte oscura’ si tratta e non di altro: “Poiché tali aridità spesso potrebbero procedere non dalla notte e purificazione dell’appetito sensitivo, ma da peccati e imperfezioni, o da fiacchezza e tepidezza, o da cattivo umore e indisposizione fisica, indicherò alcuni segni dai quali si conosce se questa aridità è frutto della purificazione di cui si parla o nasce dai difetti enumerati. Tre sono i segni principali a tale scopo.”(p.374)

Per comprendere questi segni è tuttavia necessario fare un passo indietro e descrivere la psicodinamica del rapporto tra il pellegrino sulla via dello spirito – come direbbe Assagioli – e il Sé nel percorso che porta all’unione. Non è un caso infatti che SG+ ne tratta proprio all’inizio del testo in questione: “E’ bene dunque sapere – egli scrive – come, dopo che l’anima con una ferma risoluzione si è convertita al servizio di Dio, questi ordinariamente la nutrisce con spirito e l’accarezza come una madre amorosa fa con il suo tenero figlio, che ella riscalda col calore del suo petto, nutrisce con il latte saporoso e con cibi delicati e dolci, porta nelle sue braccia e ricopre di carezze.”(p.353)
Come è sin troppo evidente siamo all’inizio della psicosintesi transpersonale nella quale, in genere, non si accede realmente senza una ‘conversione’ che scaturisce dalla ferma risoluzione di mettersi al servizio del Sé (Assagioli su questo tema consiglia la lettura di Sante De Sanctis: ‘La conversione religiosa’). Il ruolo materno che introduce i novizi nelle gioie della spiritualità è tuttavia destinato prima o poi ad esaurirsi per lasciare il posto a quello paterno mano a mano che il bambino crescendo entra nelle nuove e diverse tappe della vita spirituale: “Però a mano a mano che il bimbo cresce la madre comincia a negargli le carezze e, nascondendo il suo tenero amore, mette aloe amaro sul suo dolce seno e, facendo discendere il bambino dalle braccia, lo fa camminare con le proprie gambe affinché egli, perdendo le qualità di un bambino, si dia a cose più grandi e sostanziali.”(p.353)
Questo è il momento in cui può presentarsi la chiamata della notte oscura. Ma, come osserva SG+, non tutti coloro che attraverso la conversione si sono avviati nel percorso spirituale vengono, per motivi vari, coinvolti in questa esperienza anche perché molti non sono sufficientemente equipaggiati per sostenere una prova così dura e permarranno a lungo oltre la soglia. SG+ si sofferma su ciò che in genere ostacola il cammino spirituale prendendo spunto dai sette vizi capitali per dimostrare come molti spirituali continuino a comportarsi da bambini e facciano fatica a staccarsi dal gusto materno iniziale. Ciò potrebbe far presupporre che è la volontà del pellegrino a determinarne le tappe, ma così non è. Al punto in cui siamo del percorso spirituale non è il pellegrino a decidere la sua stessa sorte, è invece il Sé che , incomprensibilmente per la ragione umana, decide chi introdurre o meno in questa notte oscura.
Ciò premesso appare in tutta la sua importanza la conoscenza dei segni che ci consentono di poter affermare che di notte oscura si tratta e non di una comune depressione. Bisogna comunque tenere presente che questa notte – scrive San Giovanni della Croce – produce nelle persone spirituali due tipi di tenebre o purificazioni, secondo le due parti dell’uomo, cioè la sensitiva e la spirituale. La prima a manifestarsi sarà ovviamente la notte o purificazione sensitiva per rendere l’anima conforme allo spirito (quella che gli alchimisti definiscono spiritualizzazione del corpo). La seconda sarà una notte o purificazione spirituale con cui viene denudata l’anima preparandola all’unione con il Sé (quella che gli alchimisti definiscono corporificazione dello spirito). La prima è comune a molti pellegrini dello spirito, la seconda è di pochissimi poiché si tratta di rinunciare a tutto, ivi compresi i nostri ‘modelli ideali’, permanendo in uno stato di totale ‘assenza’.
Siamo giunti finalmente ai tre segni principali che secondo SG+ ci consentono di diagnosticare la ‘notte oscura’. “Il primo è l’assenza di gusto e consolazione nelle cose di Dio e in qualsiasi cosa
creata. Infatti, allorché Dio introduce l’anima in questa notte oscura per condurla all’aridità e purificarla dall’appetito sensitivo, non le permette di provare consolazioni in cosa alcuna. Da ciò si riconosce abbastanza bene che tale aridità e disgusto non provengono da colpe o imperfezioni commesse recentemente; se così fosse, la natura dovrebbe sentire qualche inclinazione o attrazione per qualcosa di diverso da Dio. Difatti, quando la volontà si lascia andare a qualche imperfezione, si sente subito inclinata, più o meno fortemente, verso questa medesima imperfezione, secondo il
piacere o l’affetto riversati su di essa. Ma poiché la ripugnanza per le cose del cielo e per quelle terrene potrebbe derivare da qualche indisposizione fisica o dal temperamento malinconico, che spesso non lascia provare piacere in nulla, occorre un secondo segno o una seconda condizione.”(p.375)
Si noti che l’aridità colpisce in pari tempo sia il gusto per le cose terrene sia quelle ultraterrene o transpersonali. Viene meno, quindi, anche il gusto per le pratiche spirituali più o meno strutturate o tradizionali che siano. E’ evidente la somiglianza con la patologia della depressione e la possibilità di scambiarla con essa, errore in cui potrebbe incorrere lo stesso pellegrino qualora non fosse opportunamente guidato o informato accettando questa notte oscura indipendentemente dalla sua volontà personale.
Il segno successivo è decisivo per dirimere la questione e tracciare un solco preciso tra una manifestazione e l’altra. Esso consiste nella sollecitudine e nella diligenza con cui il pellegrino porta la memoria al Sé: “Il secondo segno della presenza di questa purificazione è dato dal fatto che l’anima ordinariamente porta la memoria a Dio con sollecitudine e diligenza penosa; vedendosi senza quel gusto nelle cose di Dio, ella pensa di non servire il Signore ma di tornare indietro. Da ciò si conosce che tale disgusto e aridità non procede da fiacchezza e da tiepidezza: è proprio infatti di questa non preoccuparsi molto e non avere sollecitudine interiore per le cose di Dio. Perciò grande è la differenza fra l’aridità e la tiepidezza; quest’ultima porta seco molta debolezza e remissività nella volontà e nell’animo senza alcuna sollecitudine di servire Dio, l’altra, o aridità purificativa, ha invece con sé una ordinaria sollecitudine unita a preoccupazione e a pena di non servire il Signore.”(p.375)
Ne consegue che se da un lato la parte sensitiva è molto avvilita, debole e fiacca all’azione, dall’altro lato lo spirito e sempre più pronto e forte. Ciò è dovuto al fatto che la parte sensitiva (leggi Stella delle funzioni) “non è capace di contenere ciò che è puro spirito e così, gustato lo spirito, la carne diventa insipida e fiacca all’azione. Lo spirito invece che va ricevendo il cibo cammina molto, con più vigilanza e sollecitudine”. Siamo in presenza di un cambiamento decisivo: ciò che prima era nutrimento per l’anima derivava dai sensi e dal suo rapporto con il mondo, ora lo sguardo è focalizzato invece nel mondo interiore – primo passo per dare spazio alla spiritualità come scrive Assagioli in ‘Psicosintesi armonia della vita’ – e mano a mano che ci si sintonizza con la dimensione spirituale il nutrimento, d’altra specie e qualità, viene da quella realtà. I sensi, pur essendo per se stessi neutri sono però assuefatti al nutrimento grossolano materiale, quello di cui può nutrirsi tutto il regno animale da cui l’umanità proviene. Ma essa sola ha la possibilità di un diverso e più alto nutrimento, quello spirituale a patto che lo voglia e accetti di patire le sofferenze necessarie per distaccarsi dalla sua animalità e accogliere il nutrimento che viene direttamente dal ‘livello’ spirituale rii-orientando su un piano più alto la sua vita sensitiva (leggi sempre Stella delle funzioni).
(continua)