Un caso di inventario delle immagini con la Tecnica del Modello Ideale

L’inventario delle immagini prevede sette situazioni diverse elencate da Roberto Assagioli in Principi e metodi della psicosintesi terapeutica. Esse sono le seguenti:
1. Quello che crediamo di essere
2. Quello che ci piacerebbe essere, che vorremmo essere
3. Quello che gli altri credono che noi siamo
4. Quello che gli altri vorrebbero che noi fossimo
5. Quello che gli altri evocano e producono in noi
6. Quello che vorremmo sembrare agli altri
7. Quello che possiamo diventare
Nel caso trattato in questo articolo per ottenere le immagini si è proceduto in modo classico con un momento iniziale di rilassamento profondo e successivamente con il disegno libero delle diverse immagini, in successione, in giorni diversi.

1. La prima immagine corrisponde a “Quello che crediamo di essere”

Nella interpretazione l’autore esordisce richiamando il meccanismo di difesa dell’isolamento evidenziato globalmente dall’immagine ed in particolare dall’igloo centrale costruito su un iceberg. La gelida materia dell’iceberg suggerisce una personalità anaffettiva, tendenzialmente schizoide, tipologia volontà. Il sole inonda tutto con la sua luce ma illumina solo la funzione pensiero che seppur creativo tende all’astrazione e alla desertificazione (è separativo). Manca la terra umida che sotto l’influsso del sole fa germogliare la vita vegetale che è alla base del nutrimento degli esseri viventi e che, per analogia, nell’uomo, corrisponde alla funzione emozione-sentimento ma anche a quella di impulso-desiderio e sensazione (le tre funzioni sotto la linea mediana della Stella).
Il nostro autore continua nella sua interpretazione osservando che nel disegno non ci sono segni di vita che non provengano dal mare stesso: una foca monaca che batte vivacemente le mani (le pinne superiori) in contentezza e allegria. Presso gli antichi greci la foca monaca era talvolta associata alle sirene, era di buon auspicio per i marinai ed era sacra al dio del sole Apollo nonché creatura amata dal dio del mare Poseidone. Le foche monache amano il freddo e sono lente e goffe sulla terra ferma; difendono il territorio situato in prossimità di coste isolate, rocciose, alte, spesso in vicinanza di grotte accessibili solo dal mare. Infine sono state spesso catturate e addomesticate per farne una attrazione da circo. Il nostro disegnatore sente tutte queste caratteristiche, in modo o nell’altro, molto affini alla propria personalità. La foca gli richiama in particolare la sua solitudine da bambino ma anche la vitalità che ha saputo conservare nonostante un ambiente sociale ostile.
2. La seconda immagine corrisponde a “Quello che ci piacerebbe essere, che vorremmo essere”
Qui il sole è più infuocato con arabeschi rossicci che denotano passionalità del tutto assente nella prima immagine. C’è anche una via ciottolata che, a detta dell’autore, è un sentiero di montagna associato ad un risveglio energetico e spirituale (una peak experience).
La barca ha un ospite accomodato passivamente ed è ormeggiata o trainata da una robusta gomena. Appena sopra un triangolo con un occhio al centro (il terzo occhio) aleggia come una vela.

L’interno della barca è pitturato di verde forse associabile al piano fisico dell’esistenza. Lo stesso colore è peraltro presente sopra l’igloo dell’immagine precedente quasi fosse un secondo accesso rispetto a quello basso e circolare associato dal nostro interprete ad una grande pala nuragica di pietra situata nei pressi di Dorgali in Sardegna che aveva alla base un piccolo accesso circolare nel quale si poteva passare solo strisciando stesi sul terreno.
L’immagine complessiva richiama nell’autore un calderone ribollente di passioni che non trova consona espressione in alto come in basso, che vorrebbe esprimersi ritrovando la strada di una autentica spiritualità come pienezza di vita e libero fluire di energie mentre lo spirito riposa in pace con se stesso.
3. La terza immagine corrisponde a “Quello che gli altri credono che noi siamo”
Un castello un po miserello circondato da un fossato pieno d’acqua e un ponte levatoio abbassato in una radura verdeggiante: questa è la scena centrale da cui si diparte una via che va verso il bosco, ma la terra pestata fa comprendere che alla difesa del castello c’è un cavaliere, lancia in resta, che fa la spola tra il castello e la sua postazione di guardia. E’ senz’altro Donchisciotte della Mancia quello che ha scambiato i suoi pensieri vaneggianti per realtà finendo per lanciarsi contro i mulini a vento che nella sua fantasia sono divenuti cavalieri nemici.
“Quello che gli altri credono che noi siamo” viene spontaneo tradurlo in ‘Quello che noi crediamo che gli altri credono che noi siamo”. Ma così facendo rischiamo di aprire una ricorsività infinita. Dobbiamo invece fidarci del nostro inconscio e delle immagini che ci ha ispirato. Prendendo un po sul serio, ma senza esagerare, l’immagine risalta la figura di Donchisciotte a difesa di un castello (l’interiorità) che non lascia passare nessuno oppure che nessuno ha interesse a conoscere vista la rappresentazione bislacca che ne fa il suo famoso difensore, famoso per la sua estrosità e per confondere spesso e volentieri lucciole per lanterne (qui ci avviciniamo pericolosamente al lato femminile dell’esistenza su cui il nostro eroe non ci ha risparmiato estrosità).
Il nostro interprete sente che nessuno lo prende veramente sul serio anche se presenta motivazioni valide che tuttavia esulano dal normale modo di intendere le cose, talvolta non presentate volutamente nemmeno in modo consono, accessibile e/o accettabile.
Un’ultima nota: il verde è qui profuso ampiamente forse a testimonianza di una vitalità mentale che sa di creativo anche se con intonazione fantasiosa ma anche, in modo ambivalente, di tenuta delle distanze e al tempo stesso di tenue ricerca di comunicazione. Insomma una mentalizzazione come difesa ma anche come sottile linea di comunicazione fuori dal coro e anche dal ‘core’.

4. La quarta immagine è “Quello che gli altri vorrebbero che noi fossimo”
Anche per questa immagine vale quanto scritto per la precedente: fidarsi dell’inconscio prendendolo sul serio, evitando dietrologie che non porterebbero a niente. Su questa immagine questo monito è quanto mai necessario per la grafica fumettistica che lo caratterizza.
Il nostro disegnatore evidenzia il Luna Park al centro, subito dopo il Topo Center e tutti gli altri luoghi comuni di un mondo globalizzato testimoniato dall’aeroporto e dalle antenne sopra i grattacieli, non ultima la statua della libertà di New York col fuoco della fiaccola ben in vista e la corona d’oro.

Il nostro autore ci dice che i due omettini tipo Topolino della Walt Disney danno l’idea del mondo in cui siamo proiettati: l’uniformità e la sua convenienza; il quaraquaquà pervadente di una società dello spettacolo mediatico; esiste ciò che fa notizia. Anche l’unicità esteriore è arruolata a sollecitare e solleticare gli animi perché ormai ogni emozione ha un prezzo ed ogni specificità, se opportunamente trattata, può produrre reddito. Anche lo ‘Yoga’ , scritto in grande sulla facciata di un grattacielo, fa moda ed è in grado di arruolare schiere di neofiti che seguono le indicazioni di ‘maestri’ istruttori che millantano conoscenze fuori dall’ordinario ma che non sanno resistere alla scappatella usa e getta degna di un ‘core’ all’acqua di rose. L’interprete è consapevole che sta parlando, per certi versi, anche di se stesso e della sua immaturità relazionale e della conseguente mancanza di assunzione di responsabilità. Tuttavia, non ritiene che se ne possa uscire fuori per pura forza di volontà, caso mai con un pizzico di volontà sapiente e tanta ‘buona’ volontà.
C’è stato un periodo in cui questa critica era espressione di un movimento di contestazione che ha coinvolto tutte le società consumistiche ed ha dato origine ad una ondata di cambiamenti ancora in corso. Il rischio che molti contestatori hanno corso, e che corre tuttora chi è sopravvissuto, è quello di rimanere aggrappato a quei baluginii di identità fissandosi su cliché avulsi dal contesto che nel frattempo e cambiato. Eppure, là dove la creatività ha superato il muro del suono impattando con la spiritualità, si sono prodotte opere d’arte immortali, ma siamo su un terreno misconosciuto perché manca il ‘vedere’ per scorgerne il messaggio che porta oltre il confine dove il vivere è sacro e non scimmiottamento caricaturale di cui siamo invasi. L’interprete è consapevole di parlare sempre e soltanto di se stesso.
5. La quinta immagine: “Quello che gli altri evocano e producono in noi”
Questa immagine, insieme alla successiva, è illuminata dalla luna diversamente dalla prima e dalla seconda che sono illuminate dal sole. Detto per inciso rappresentano l’asse orizzontale (lunare) e l’asse verticale (solare) della croce della Tetralogia dell’Io trattata in altra sede. Anche l’Io, corrispondente al Modello Ideale definitivo che è situato al centro della croce, è ovviamente illuminato dal sole.

Questa immagine è caratterizzata da varie armi sulla sinistra e da un guerriero con tanto di lancia dorata stranamente addobbato. L’elmo sembra un misto di fattezze templari ed egizie insieme. Il vestito armatura a strisce colorate, peraltro con un basso ventre un po’ pronunciato e con bocca rosso fuoco nonostante la barbetta mascolina, ne fanno uno strano soggetto.
L’autore nota il colore giallo vivo di forma romboidale sul petto nonché un borsetto rosso-giallo sul fianco. Fa presente anche uno scudo appeso alla schiena. Soggetto ibrido forse in lenta trasformazione come suggeriscono le lumache che lo precedono. Certamente vigila sulla scena che ha di fronte dove in una casa di legno un altro soggetto in ombra guarda anch’egli la scena dall’altra parte del laghetto. Il suo sguardo sembra in particolare sull’altro omino che, seduto stancamente su una panchina, sta pescando. Salici piangenti, una panchina vuota, una barchetta di carta, una lucertola su un masso e due pesci che non abboccano sembrano deprimere ulteriormente la scena.
L’autore del quadro intuisce una relazione tra i tre soggetti sia di tipo storico sia in senso dinamico attraverso una lenta e continua trasformazione degli stessi. Il soggetto dietro la finestra è ovviamente il più retrivo ad aprirsi al mondo e condiziona pesantemente il pescatore il quale, a sua volta, è in parte protetto ma per altri versi succube dalla presenza attenta e vigile del guerriero che si propende verso di lui facendosi paladino e difensore di una sacralità che più che riferirsi ad una tradizione sembra rappresentare il più vituperato sincretismo di moda nella nostra epoca. Certamente associabile al Super Io sembra provenire da un ambiente molto aggressivo di cui conserva traccia pur rivestito da nobili vesti che denotano una certa Luce visibile nel petto e nel borsetto in particolare oltre, ovviamente, alla lancia.
6. La sesta immagine corrisponde a “Quello che vorremmo sembrare agli altri”
Scena veneziana con case sul mare, pescatore e gondola (con parte posteriore a mo di canoa indiana); un uccellino giallo in gabbia ripetuto due volte per rafforzare il messaggio. Poi un grande bolla in cui c’è mago Merlino con tanto di fuoco su una mano (che guarda un po esterrefatto) e bastone con serpente attorcigliato nell’altra.

Attorno un ambiente tra il familiare (piantina, mandolino, croce, fiori, etc.) e il laboratorio alchemico (alambicchi in particolare). Non mancano le vie di mezzo come la fornacella metà cucina e metà atanor, il gatto tassativamente nero e forse anche il ramarro e la ragnatela. Risalta infine uno stemma incorniciato con colori giallo e verde in risalto. All’esterno della bolla, ma con colori molto affini, una luna che osserva il suo mago quasi una sua creatura o qualcosa che gli è sfuggito dalle mani.
Il nostro autore è meravigliato della sua stessa produzione ed ha quindi difficoltà a darne una lettura comprensibile a se stesso. Evidentemente si tratta di motivi inconsci difficili da giostrare con la coscienza di veglia. L’uccello in gabbia per essere stato doppiato esprime forse una chiave d’accesso: una potenzialità è racchiusa in una gabbia, qualcosa che ha a che fare, per il nostro interprete, con l’oro degli alchimisti; qualcosa che egli ha visto con i suoi occhi esterrefatti e che ha invaso la sua vita familiare facendolo diventare la caricatura del mago Merlino. E’ una fantasia ma è anche una realtà: ce lo prova la luna esterna alla bolla e che ha preso corpo nella dimensione fisica del reale e che per certi versi è come se avesse trasmutato la realtà stessa almeno per quanto attiene ad una sua manifestazione meno terrena.
Infine l’interprete nota che nel paniere del pescatore non si sono catture mentre i pesci sguazzano allegramente nel mare senza abboccare all’amo.
7. La settima immagine rappresenta: “Quello che possiamo diventare”
Luce dorata e sfavillante vitalizza l’intera scena. Una luce fatta di vita e di passione insieme: un vivere appassionatamente vivendo! Vicino al sole un carro con quattro cavalli si leva in volo guidato da Elia il profeta che non segue nessuna tradizione; spirito libero che non ha scuola né discepoli e nemmeno maestri; è alla scuola della propria guida interiore facendo tesoro dell’esperienza.
Un torrente scorre da una parte all’altra del quadro formando un paio di cascatelle. Lungo il suo percorso due pescatori, in quello più in alto si vede un cesto pieno di pesci. Su una sorta di diga un lucertolone rosso potrebbe passare inosservato ma è troppo grande per essere una semplice lucertola. Ed è poi tutto rosso ad indicare che è un simbolo di fuoco, un fuoco addomesticato che non fa più paura come nella seconda immagine piena di turbinii di fuoco passionale.
C’è anche un uccello dorato che osserva delle serpi anch’esse dorate. Finalmente fuori dalla gabbia può vivere felice in mezzo alla natura.
Un’ultima riflessione sull’edificio in alto a destra il cui tetto è inondato di luce e colorato di un rosso bordeaux. Il colore è affine a quello dei pescatori e anche alla colorazione dell’area del triangolo del terzo occhio di una precedente scena e al colore prevalente del guerriero della quinta scena. E’ il colore del sacro a cui molto probabilmente è dedicato l’edificio.

Finito di scrivere in data 06/06/18 da Fernando Potì