Recensione: “Mi hanno rapito gli zingari”


“Mi hanno rapito gli zingari” da poco in libreria di Cristhian Scorrano e di Marina Pirulli è un titolo che assomiglia ad un simbolo e come nella natura dei simboli è polisemico, può contenere cioè diversi significati a livelli diversi.
La trama descrive un tratto particolare della vita del protagonista scandito in forma di diario. Ma in quel dipanarsi di un’esperienza di vita avventurosa inizialmente all’insegna di una sottesa paura di un indefinito movente inconscio che cercava di volta in volta pretesti per emergere (la storia della scomparsa del portafoglio è emblematica), vi si legge, a grandi linee, quello che C. G. Jung ha etichettato come ‘processo di individuazione’: la ricerca di voler essere se stessi senza soggiacere alle istanze del gruppo di appartenenza.
Questa ricerca interiore della propria unicità “che ci spinge a sviluppare le peculiarità individuali, ad affermare e a definire nei confronti degli altri la nostra individualità, a voler divenire personalità inconfondibili, non uomini-massa, intercambiabili con altri” deve però fare i conti con le nostre radici e col nostro bisogno di stabilità. Fritz Rieman in “Le quattro forme dell’angoscia” ci avvisa infatti che “A questo si accompagna tuttavia la paura, perché quando ci si vuole distinguere dagli altri, si perde il senso di sicurezza che deriva dal sentirsi parte di un gruppo o di una comunità; il che significherebbe solitudine e isolamento”.(p.9)
Da qui l’angoscia, la paura latente pronta a manifestarsi ad ogni pur labile movente, in realtà generata dall’angoscia della separazione e al tempo stesso dalla paura di stare sulle proprie gambe… non solo per l’insicurezza generata dal sentirsi soli ma anche dalla incomprensione, dal rifiuto e, talora, dalla ostilità da parte degli altri come è chiaramente evidenziato nelle vicende narrate nel libro.
L’altra antinomia che emerge lampante nel vissuto e nelle riflessioni del protagonista è la paura di progettare la propria vita vincolandosi a percorsi obbligati che soffocano la libertà, il corso spontaneo della vita, la possibilità di vivere il presente pienamente senza obblighi eccessivi…
Problematica attualissima da quando i figli non fanno più i mestieri dei padri e sono essi stessi soggetti ad un cambiamento continuo e incrementale… L’incertezza del domani ci rende prudenti nell’accettare vincoli che condizionino le nostre scelte future ma genera anch’essa paure ed angoscia. Riemann ci dice che in noi vi un impulso a voler “progettare il futuro, tendere ad una meta, come se la nostra vita non avesse fine, come se il mondo fosse stabile, e il futuro prevedibile…” ma al tempo stesso vi è in noi anche un impulso contrario per il quale “si deve essere sempre pronti al mutamento, ad accettare trasformazioni e sviluppi, ad abbandonare ciò che ci è familiare, a lasciarsi alle spalle tradizioni ed abitudini, a separarsi sempre di nuovo da ciò che si è raggiunto, a vivere come se fosse tutto transitorio.”(p.11)
L’inciampo più comune in questo percorso è la fuga, la chiusura personalistica magari condita con tanto di aspirazioni spirituali di cui ci si fa paladini senza rispettarne i dettami continuamente propalati (una mia subpersonalità – per dirla con la psicosintesi – è ‘il consigliere spirituale’). Per non dire poi di chi avendo appreso dei ‘segreti della natura’ per essersi assoggettato a discipline magico-spirituali usa i poteri acquisiti per sfruttare o controllare gli altri… c’è anche questo nel testo per chi voglia fare un attento esame di coscienza. E non sfugge neanche, anzi viene spesso ripetuto, che l’errore più comune in questo percorso dai difficili equilibri è di perdere per strada la dimensione emotiva, quell’essere innocenti e aperti al mondo che si esprime in quella luce che brilla negli occhi dello ‘zingaro’ che qui assurge a simbolo di libertà e di innocenza che inevitabilmente si perde nella mentalizzazione di ogni atto della vita quotidiana caratteristica saliente, con le dovute cautele, dell’uomo moderno che ha fatto dell’edonismo e dell’egotismo il centro di interesse della sua vita.
Ma c’è un altro significato per questo rapimento in cui zingaro si identifica con ‘pellegrino sulla via dello spirito’, di colui che cerca la Casa del Padre ed erra per il mondo come un esule fino a quanto non la ritrova (vedi: La parabola del figliol prodigo: Luca 15, 11-32). Concetto coniato da Roberto Assagioli padre della psicosintesi (vedi: Lo sviluppo transpersonale). Che ci azzecca ora la psicosintesi? Questo libro è senza volerlo l’espressione più chiara di come ci si disidentifica dai contenuti inconsci facendo tesoro dell’esperienza personale. Lo strumento chiave per questa operazione è l’attenzione a ciò che accade fuori e le ripercussioni che produce dentro di noi. Lo strumento autobiografico e il diario personale sono consigliati anche dalla psicosintesi. Il nostro protagonista cercava spesso dei momenti di ‘ritiro’ per potersi ritrovare e fare i conti con se stesso scrivendo il resoconto che è giunto nelle nostra mani. Tutto questo senza rifiutare gli altri, senza erigersi a giudice, senza sbattere la porta in faccia a nessuno quanto piuttosto imparando pian pianino a farsi rispettare fissando quei limiti accettabili e possibili dove la libertà altrui deve fermarsi per non infrange la nostra. E in questi confini mobili dettati dalle circostanze e dall’esperienza la nostra anima può crescere oltre i limiti e gli impedimenti del gruppo, anzi, contribuendo impercettibilmente a renderlo più aperto e ospitale.
Assagioli considerava questo disidentificarsi dalla famiglia per aprirsi al bene della comunità più vasta e infine al benessere dell’intera umanità come un aspetto imprescindibile dello sviluppo spirituale non certo per privazione ma per inclusione. La sua assenza denuncia infatti che la nostra evoluzione si è fermata e che siamo regrediti, ci siamo rinchiusi ancora una volta nei nostri personalismi facendo dei poteri acquisiti nel percorso degli strumenti di potere e di controllo sugli altri.
Ma non è così nelle vicende narrate dove l’identificazione con la parte migliore dell’essere zingaro da parte del protagonista apre a nuove prospettive che ampliano ancora di più i confini dell’esistenza superando paure e resistenze: l’amore sboccia, ed è amore vero, non prezzolato scambio di proiezioni e di illusioni di cui abbiamo una variegata descrizione nei capitoli precedenti.
Mi fermo qui ringraziando gli autori per questa condivisione che mi ha fatto riflettere sui fatti della mia vita in un confronto proficuo.
Lavis, 18/08/2020
Fernando Potì